Il silenzio che grida: 42 anni senza Emanuela Orlandi

Mercoledì 16 aprile, durante la trasmissione “Linea di confine” su Rai 2, si è tornati a parlare del caso di Emanuela Orlandi.
Sono passati 42 anni dalla sua scomparsa, eppure il suo nome continua a suscitare emozioni profonde.
Ogni volta che si riaccende l’attenzione su questa storia, dentro di me si muove qualcosa.
Non solo sgomento, ma anche una sorta di inquietudine civile.
Perché questa vicenda non è solo un giallo irrisolto: è una ferita collettiva che non smette di sanguinare.

Emanuela aveva 15 anni. Uscì da casa per andare a una lezione di musica e non fece mai più ritorno.
Da quel giorno, un labirinto fatto di depistaggi, reticenze e silenzi ha avvolto la sua memoria.
Vaticano, servizi segreti, banda della Magliana, interessi oscuri: tante piste, troppe ombre.

Ma la domanda resta sempre la stessa: chi sa e continua a tacere?
Forse non servono nuove indagini, ma coscienze che trovino finalmente il coraggio.
Perché la verità, quella vera, spesso non è lontana: è solo nascosta da chi ha deciso di proteggerla a costo del dolore altrui.

Il silenzio può diventare complice.
E questo silenzio, dopo 42 anni, è assordante.
Chi ha taciuto fino ad oggi può ancora scegliere di parlare.
Farlo sarebbe un atto di giustizia. Di umanità.
Per Emanuela, per la sua famiglia, per tutti noi.

Non possiamo permettere che questa storia venga archiviata come un enigma irrisolvibile.
La memoria, se condivisa, è uno strumento potente.
Continuiamo a parlarne, a cercare, a pretendere risposte.
Perché la verità può far male, ma il silenzio uccide due volte.

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